Su tutto - errori dietro il bancone, cane-derli in brodo, corse da un tavolo all'altro, Danke Schön e grappe al cirmolo - vegliano silenziose, antiche signore vestite di bianco: Croda Rossa, Cristallo, Sorapis.

In una manciata di giorni, i sorridenti boschi di pino canario che ho lasciato a La Palma si sono trasformati in distese di mughi accovacciati fra la neve. I piedi non affondano più nella tiepida sabbia nera, ma fanno scricchiolare un tappeto candido sotto gli scarponi. Le cangianti sfumature del cieloceano canario, ora sono pareti svettanti di bianco e rosa. Ma il coraggioso privilegio di vivere respirando Natura, continua ad accompagnarmi.

9 febbraio 2023

"Ma come sei finita a lavorare quassù?”
Tante volte me lo sono sentita chiedere in questi giorni.

"Mah, un po' per caso... ho trovato un annuncio in internet..."

Oggi, nel silenzio del sentiero che sale verso il Sennes, me lo sono chiesta anch'io. Dopo quasi una settimana qui - metabolizzato l'impatto iniziale - il pulviscolo di emozioni ha iniziato a decantare. Mi sono ritagliata una manciata di ore lontana da voci e tazzine, e ho iniziato a percepire con le gambe e il cuore dove mi trovo. La salita impietosa che da Pederù porta a quota duemila mi regala una fatica liberatoria: pompa sangue ai pensieri, mi spalanca gli occhi a picco su una cascata di abeti. Dicono che spesso non siamo noi a scegliere: un libro, un cane, un luogo. Ma è lui a scegliere noi. Di fronte a quelle pareti rosa - silenti e materne, protetta da quegli scudi di roccia innalzati sulle nevrosi metropolitane, ho avuto la risposta alla mia domanda. Forse, non sono stata io a scegliere.

20 febbraio 2023

"Eh, non dev'essere facile vivere in un paesino così piccolo e isolato come questo..."

"Si, è vero. Noi non ci muoviamo mai da Santo Stefano... poi con l'agriturismo da gesti-re... non si può lasciarlo. Però sai, da quando è nato il cammino, è il mondo che viene qui!

Non abbiamo bisogno di viaggiare: siete voi camminatori che venite dall'Italia e dall'estero, a portarci fuori..."

Me le ricordo bene le semplici parole scambiate con la proprietaria di un piccolo avamposto enogastronomico sperduto fra le montagne abruzzesi. Era il 2021, Cammino dei Briganti.

A distanza di un paio d'anni - passando dal cuore degli Appennini a quello delle Dolomiti - mi trovo a ripensare a quel dialogo, e a sorridere. Adesso sì che riesco a comprendere davvero il senso di quelle parole. Adesso so cosa vuol dire non avere la possibilità di muo-versi... ma riuscire lo stesso a viaggiare, ospitando il mondo a casa. Si può abitare nel centro affollato di una metropoli, ma galleggiare in uno sterile isolamento; si può riuscire ad essere perfettamente connessi con gli Altri, pur vivendo in mezzo ad un silenzioso anfiteatro bianco, a duemila metri di altitudine e ad un'ora e mezza di cammino dalla prima strada praticabile in auto. Sono più di due settimane che non scendo nella cosiddetta "civiltà", eppure concetti come solitudine e monotonia li sento lontani anni luce.

Ho piluccato battute e risate goliardiche da una tavolata di toscanacci in festa, e sistemato tazzine chiacchierando in spagnolo con un ingegnere tedesco. Ho rivisto i colori della laguna servendo un gruppo di ospiti veneziani, e sono ritornata con la mente sui sentieri dei Berici insieme ad un ciaspolatore vicentino. Fra un piatto di canederli e una fetta di strudel, ho rispolverato un po' di français con una coppia di Grenoble, per poi volare oltre la Manica con due escursionisti scozzesi. Mi sono catapultata oltreoceano, facendomi raccontare come sono diverse le montagne in Alaska e Utah, e ho ripercorso le tappe del Cammino di San Francesco fatto qualche anno prima, conversando con dei camminatori romagnoli. Mi sono addentrata fra i boschi delle vallate ladine, ascoltando vecchie storie di uomini e montagne, raccontate da allegri bicchierini di grappa e guance rubizze. Tedeschi, americani, ladini, francesi, italiani, inglesi... ognuno porta a tavola il proprio vissuto, ognuno ha un modo diverso di vivere la convivialità, declinando il semplice "mangiare" (ma forse - qui - più spesso il «bere"!) secondo la propria cultura d'origine. Ogni giorno, ciascuno mi porta quassù un pezzo della propria terra, e mi proietta - sullo sfondo di queste montagne - le immagini di altri, innumerevoli film.

28 febbraio 2023

Già lo vedevo, quel selfie sorridente in vetta, a fianco della croce. Già me li pregustavo, i Like che sarebbero arrivati sotto la foto panoramica delle Dolomiti. E che soddisfazione poter dire di esserseli conquistati tutti orgogliosamente in solitaria, quei 2.787 metri del Monte Sella.

Ma la montagna è capace di far franare all'improvviso le tue sicurezze sotto i piedi. Ti insegna ad accettare limiti che non avevi messo in conto, inchiodando i tuoi sogni di gloria non alla croce della vetta, ma ad un' anonima roccia lungo il sentiero in cresta.

Dicono che in montagna si impari a fare fatica, a stringere i denti. Ma forse, a volte, bisogna anche apprendere la difficile arte della rinuncia. Di sicuro, una lezione chiara l'ho presa, oggi, su un ghiaione misto di roccia e neve a poche centinaia di metri dalla cima.

L'avevo intravista la croce, mentre salivo. Era lì, poco più in alto. Dai, è fatta! Ma ad un certo punto, la poca neve rimasta - con le sue preziose tracce da seguire - era inaspettatamente finita. Era rimasto solo un pietrusco ripido, insidioso, instabile. Nessun segnavia nei paraggi, nessuna traccia di sentiero. Porca miseria, dove vado adesso. Guardando in alto, un pendio verticale e beffardo. In basso, un vallone precipitosamente bianco. Rimango in stallo.

No cazzo, non posso mollare adesso, sono quasi arrivata. Respiro. Ascolto il silenzio. Mi guardo attorno. In mezzo a quel carosello di bellezza struggente e crudele, non c'è anima viva. Nessuno che possa darmi una mano. Nessuno che possa indicarmi la via. Nessuno che possa difendermi dall'unico vero pericolo realmente presente: il mio Ego.

Le antiche signore striate di bianco osservano imperturbabili il piccolo dramma in atto.

Sorridono bonariamente sentendo i miei pensieri, in bilico fra la testardaggine di voler comunque andare avanti, la paura di scivolare, l'orgoglio di arrivare in vetta, il disappunto incredulo di non trovare più la traccia da seguire. "Apri gli occhi, sciocca umana vanitosa.

Sei già arrivata alla tua vetta. E goditi lo spettacolo..."

Tempo fa, da qualche parte, ho letto che "si va in montagna non per conquistare una cima, ma per conoscere se stessi". Non ho raggiunto nessuna cima oggi. Ma - forse - ho conquistato un pezzettino di umile consapevolezza in più.

20 marzo 2023

Mi sono sempre piaciute le stagioni di passaggio. Osservare qualcosa che non è più, ma che non è ancora diventato altro. Annusare quella sottile aria di cambiamento, che pennella le giornate di nuove sfumature. Certo, però, che la primavera a quota 2000 è una faccenda davvero strana.

Un giorno, la vedi sbucare all'improvviso, quasi imbarazzata, come una sposa in anticipo sul piazzale della chiesa. Bellissima, ma forse può sembrare fuori posto, in mezzo ai residui di neve e agli ultimi scialpinisti, con gli occhialoni a specchio e le maniche corte. Timida e frettolosa, fa ondeggiare nel sole il suo strascico verde, punteggiato di cinguetti invisibili.

Al suo passaggio, si risvegliano nuovi ronzii volanti, insieme ai minuscoli occhi viola delle prime eriche. Si moltiplicano i ticchettii gocciolanti, provenienti da una coperta bianca ormai logora. Nella luce tiepida del pomeriggio, su una panca che fino a pochi giorni prima era ancora semisommersa dalla neve, si respira un senso di pace e di risveglio insieme: un tempo di quiete laboriosa, dove la montagna sembra volersi scrollare di dosso gli ultimi sciatori, leccarsi via le tracce di ciaspole e bombardini, e - finalmente - prendersi cura di se stessa.

Ma poi, ti svegli qualche mattina dopo, e ti ritrovi 10 cm di neve fresca che ti riportano indietro di un mese. Raffiche di vento gelide e beffarde sembrano catapultarti a trenta gradi di latitudine più a Nord, mentre provi faticosamente a raggiungere il ricordo della tua panca soleggiata.

Quella neve paffuta che solo qualche giorno fa bofonchiava con indolenza sotto le cia-spole, adesso sembra essersi raggrinzita sotto gli schiaffi del vento. Farinose onde inquiete increspano quelle che erano marcate tracce di sentiero, ma che ora sono solo misteriose vie

bianche da scrutare con intuito da indovino, per riuscire a tornare a casa.